«La Glavaš nei suoi versi è essenza. Distillato di assoluta ed apparente semplicità, innocenza e orgoglio, superfluo cancellato ma capace di approdare al sublime della parola, vissuta come sacralità e rispetto, sia del suono, sia del senso che essa trasporta. Infatti nei suoi versi niente è abbondante. Niente è aggiunto per compiacere, niente è celebrazione, enfasi, costruzione.
[…] L’utilizzo infatti della metafora di stormi migranti, come i versi che lei scrive, non sono altro che l’umile riconsegna alle anime sensibili di un ricongiungimento bellissimo al concetto della dislocazione: un verso riuscito è come uno stormo che viaggia e vede, si ferma e riparte, viene ascoltato e guardato, sedimentato nell’esperienza e trasmesso a chi ancora non ha vissuto questa straordinaria esperienza del mondo» dalla Prefazione di Carmelo Zaffora.
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