Luce meridiana, spuma del mare, bagliori di coscienza, frecce d’amore, uccelli nel vento, nei versi di Suzana Glavaš, poetessa, scrittrice, docente universitaria, ebrea croata, bilingue, mia amica. Parole che incantano, estratte dalle proprie viscere e rese lucenti da riflessi metafisici. Ma questa luminosità metafisica, questa essenzialità per concentrazione non diluisce ma dipana la sfera sensoriale del dire poco, sentire molto. Intermittenze di un’anima segreta. Incanto nel disincanto.
Immersi e sommersi come siamo in una meccanica tecno-universale, invasi dalla miseria e standardizzazione di un dire che più non dice ma è un già detto, pre-fabbricato, in una coazione di frasi fatte. La parola poetica invece, ora tanto ai margini, in questa condizione accresce il suo valore umano, artistico, di libertà.
Brilla di luce, è la lingua di un sogno, dona un occhio nuovo sulla realtà consueta. Svela barlumi del mistero della creazione divina del mondo e dell’uomo.
Frammenti lirici mediterranei, liquidi per immediatezza, solidi per selettività e intarsio della parola scritta nello spazio bianco, affiorata dal pianeta sconosciuto dell’inconscio.
L’attimo di una sensazione fugace viene fissato, eternato nella luce stilistica della parola emersa.
Accade nel mondo lirico della Glavaš quel che accadde nei celebri, folgoranti per bellezza struggente estrema, versi giovanili di Dante:
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch’ ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio…
Dove il vento del desiderio spinge la barca con i tre poeti innamorati e le loro donne, affinché “di stare insieme crescesse ‘l disio”. Un viaggio per mare, sognato su una nave incantata che trasporti senza meta e per un tempo indefinito.
Il fascinoso sonetto unisce il pathos della distanza, da un mondo lontanissimo e diverso, con un sogno atemporale, che canta le esistenze giovanili di ogni tempo e di ogni luogo. Di chi nuovo al mondo vive il suo sogno e ha uno sguardo nuovo sul mondo, con stupore e meraviglia.
Non sto dicendo niente di nuovo ma dirlo qui ha un suo senso. Mi vengono in mente parole del grande poeta portoghese Fernando Pessoa: “Tutte le frasi d’amore sono stupide, ma è più stupido chi non le ha mai dette”. La Glavaš appunto dà un abito nuovo alle voci elementari degli innamorati della vita. Un esempio:
mari di occhi in mari di mari come bolle di sogni naufragati amari
L’ultima sua raccolta poetica “Come stormi colmi di giorni di ritorni” Carthago edizioni 2021 è stata presentata nella Sinagoga di Napoli. Preceduta dalla illustrazione di una sua bella traduzione dal croato del romanzo di Jasminka Domaš, “Rebecca. Nel profondo dell’anima” Carthago edizioni, che si svolge nel solco delle narrazioni sull’infinito orrore della Shoah, sospesa tra testimonianza e capacità narrativa, come Elie Wiesel e Primo Levi.
Il rabbino di Napoli Cesare Moscati ha illuminato il valore fondante della vita nella realtà ebraica come etica, libertà, verità.
Cordiale presentazione della narratrice Miriam Rebhun. Letture di versi insieme a esecuzioni musicali attrattive. Sarabanda e Preludio della Suite per violoncello solo di Bach, interprete Giulia Massa, brillante allieva del maestro Luca Signorini, e brani struggenti dalla chitarra di Claudio Cecere, dal tema di Schindler’s List ad una favolosa Bachiana Brasileira di Villa Lobos, dove si uniscono la grande tradizione di Bach con la musica folclorica brasiliana. Il compositore osava dire di Bach: ” la sua musica proviene dall’infinito australe e si diffonde sulla terra sottoforma di musica folclorica”. Piacevolmente dunque un legame tra il canto verbale in pianissimo della Glavaš, diciamo in sol minore, e le note di violoncello e chitarra.
“Incanto nel Disincanto” – Frammenti lirici di Suzana Glavaš
Luce meridiana, spuma del mare, bagliori di coscienza, frecce d’amore, uccelli nel vento, nei versi di Suzana Glavaš, poetessa, scrittrice, docente universitaria, ebrea croata, bilingue, mia amica.
Parole che incantano, estratte dalle proprie viscere e rese lucenti da riflessi metafisici. Ma questa luminosità metafisica, questa essenzialità per concentrazione non diluisce ma dipana la sfera sensoriale del dire poco, sentire molto. Intermittenze di un’anima segreta. Incanto nel disincanto.
Immersi e sommersi come siamo in una meccanica tecno-universale, invasi dalla miseria e standardizzazione di un dire che più non dice ma è un già detto, pre-fabbricato, in una coazione di frasi fatte. La parola poetica invece, ora tanto ai margini, in questa condizione accresce il suo valore umano, artistico, di libertà.
Brilla di luce, è la lingua di un sogno, dona un occhio nuovo sulla realtà consueta. Svela barlumi del mistero della creazione divina del mondo e dell’uomo.
Frammenti lirici mediterranei, liquidi per immediatezza, solidi per selettività e intarsio della parola scritta nello spazio bianco, affiorata dal pianeta sconosciuto dell’inconscio.
L’attimo di una sensazione fugace viene fissato, eternato nella luce stilistica della parola emersa.
Accade nel mondo lirico della Glavaš quel che accadde nei celebri, folgoranti per bellezza struggente estrema, versi giovanili di Dante:
Dove il vento del desiderio spinge la barca con i tre poeti innamorati e le loro donne, affinché “di stare insieme crescesse ‘l disio”. Un viaggio per mare, sognato su una nave incantata che trasporti senza meta e per un tempo indefinito.
Il fascinoso sonetto unisce il pathos della distanza, da un mondo lontanissimo e diverso, con un sogno atemporale, che canta le esistenze giovanili di ogni tempo e di ogni luogo. Di chi nuovo al mondo vive il suo sogno e ha uno sguardo nuovo sul mondo, con stupore e meraviglia.
Non sto dicendo niente di nuovo ma dirlo qui ha un suo senso. Mi vengono in mente parole del grande poeta portoghese Fernando Pessoa: “Tutte le frasi d’amore sono stupide, ma è più stupido chi non le ha mai dette”. La Glavaš appunto dà un abito nuovo alle voci elementari degli innamorati della vita. Un esempio:
L’ultima sua raccolta poetica “Come stormi colmi di giorni di ritorni” Carthago edizioni 2021 è stata presentata nella Sinagoga di Napoli. Preceduta dalla illustrazione di una sua bella traduzione dal croato del romanzo di Jasminka Domaš, “Rebecca. Nel profondo dell’anima” Carthago edizioni, che si svolge nel solco delle narrazioni sull’infinito orrore della Shoah, sospesa tra testimonianza e capacità narrativa, come Elie Wiesel e Primo Levi.
Il rabbino di Napoli Cesare Moscati ha illuminato il valore fondante della vita nella realtà ebraica come etica, libertà, verità.
Cordiale presentazione della narratrice Miriam Rebhun. Letture di versi insieme a esecuzioni musicali attrattive. Sarabanda e Preludio della Suite per violoncello solo di Bach, interprete Giulia Massa, brillante allieva del maestro Luca Signorini, e brani struggenti dalla chitarra di Claudio Cecere, dal tema di Schindler’s List ad una favolosa Bachiana Brasileira di Villa Lobos, dove si uniscono la grande tradizione di Bach con la musica folclorica brasiliana. Il compositore osava dire di Bach: ” la sua musica proviene dall’infinito australe e si diffonde sulla terra sottoforma di musica folclorica”. Piacevolmente dunque un legame tra il canto verbale in pianissimo della Glavaš, diciamo in sol minore, e le note di violoncello e chitarra.
Applausi, partecipazione emotiva del pubblico.
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